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Congresso con sciopero!

  • 23
    2022
    Dic
    1:39 pm
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Dicembre è stato un mese molto impegnativo per noi della Fiom di Milano e per tutta la Cgil. Sono infatti andati a coincidere il nostro congresso e lo sciopero proclamato dalla Cgil e dalla Uil che in Lombardia è stato effettuato il 16 dicembre.

Che cos’è il congresso della Cgil? È il massimo organo deliberante e svolge funzioni di indirizzo politico del sindacato. A tutti i livelli dell’organizzazione viene eletto attraverso un iter che parte dalle assemblee che svolgiamo in tutti i luoghi di lavoro. Come Fiom di Milano, quindi, abbiamo cominciato a convocare a ottobre scorso le assemblee nei luoghi di lavoro in cui avevamo degli iscritti, lasciandole aperte anche ai non iscritti, per discutere con le lavoratrici e i lavoratori metalmeccanici i contenuti dei documenti che parlano delle loro vite. A Milano e provincia, come Fiom, abbiamo svolto le assemblee in 213 fabbriche, aziende e cantieri, in presenza o in videoconferenza e raggiunto più di diecimila lavoratrici e lavoratori. Abbiamo convocato anche tre assemblee territoriali per dare la possibilità a tutti gli iscritti di esprimere il loro voto sui documenti e sui delegati da portare nelle varie istanze congressuali. Abbiamo parlato con loro soprattutto di quei temi congressuali che incrociano di più i bisogni della nostra platea di riferimento: il salario, che ha perso potere d’acquisto a causa dell’inflazione e va aumentato; la legge sulle pensioni, che va riformata per consentire a chi non ce la fa più a lavorare, svolgendo mansioni usuranti, di uscire anticipatamente; la precarietà, che va ridotta a favore di forme contrattuali di ingresso nel mondo del lavoro più tutelanti. E tanto altro, a seconda del tempo che avevamo a disposizione e della discussione con i lavoratori.

Questa occasione di confronto con le persone che lavorano è uno straordinario momento di democrazia che non ha eguali nelle organizzazioni di rappresentanza. La Cgil, con i suoi milioni di iscritti tra i lavoratori attivi e i pensionati, è l’unico corpo intermedio che ha l’opportunità di parlare di temi generali ad una platea così ampia. Nessuna forza politica né alcuna istituzione ha lo stesso livello di capillarità: ce l’ha solo il sindacato.

Per questo andrebbe utilizzata anche meglio di quanto facciamo: il congresso può esser uno strumento di ampliamento del consenso e di incremento dei nostri iscritti. Purtroppo si trasforma, ogni tanto, in una lotta tra gruppi dirigenti, che prescinde dalle linee programmatiche ma è fondata unicamente su personalismi, o in uno stanco rituale vissuto come un appesantimento dell’azione sindacale. I documenti sono ritenuti, dai più, troppo lunghi e poco leggibili.

Sicuramente il modo in cui svolgiamo il congresso andrebbe rinnovato. Rimane comunque il fatto che è un momento unico attraverso il quale la Cgil discute democraticamente con i propri iscritti del suo programma e dei suoi indirizzi per il quadriennio: questo va valorizzato.

Quest’anno il congresso ha avuto un iter non semplice: per prima cosa è stato posticipato per evitare di coincidere con la campagna elettorale che si è svolta a partire da agosto per l’elezione del nuovo Governo; poi si è incrociato con la scelta di Cgil e Uil di scioperare contro la manovra economica proposta dall’esecutivo di Giorgia Meloni. Due decisioni assolutamente coerenti con la scelta di essere un’organizzazione sindacale autonoma e indipendente dalla politica e con i temi affrontati nel congresso.

Sapevamo fin dall’inizio del percorso congressuale che, se non fossero arrivate risposte positive per il mondo del lavoro e dei pensionati da parte del nuovo governo, ci saremmo mobilitati. E già con la manifestazione Cgil dell’8 ottobre a Roma, che abbiamo chiamato “Italia Europa, ascoltate il lavoro”, avevamo delineato un percorso.

A dicembre è arrivata la proclamazione dello sciopero: nonostante gli incontri con il Governo Meloni nella manovra non ci sono le misure richieste, che sono anche quelle di cui abbiamo parlato nei congressi. Sui salari si proroga la decontribuzione fino a 35 mila euro già conquistata con il Governo Draghi, quindi non c’è un soldo in più per i lavoratori. Si introduce la Flat tax al 15% per i redditi da lavoro autonomo fino a 85 mila euro: in questo modo i lavoratori dipendenti vengono tassati il doppio di coloro che hanno redditi tre volte superiori.

Sulle pensioni si introduce Quota 103, che peggiora quanto fatto dal Governo precedente con quota 102, si peggiora l’Opzione donna, non si allarga l’Ape sociale e non si modifica in nulla la legge Fornero. Si interviene sul meccanismo d’indicizzazione delle pensioni in essere tagliando la loro rivalutazione rispetto all’inflazione per destinare 3,5 miliardi così recuperati in favore del lavoro autonomo e per finanziare interventi che aumentano le disuguaglianze.

Sulla precarietà piuttosto che ridurla si aumentano i voucher a 10.000 euro e si allarga la platea dei prestatori: è un fatto gravissimo che precarizza i rapporti di lavoro, riduce tutele e diritti e indebolisce la contrattazione in settori strategici per l’economia dell’Italia.

Come Fiom di Milano avevamo previsto il congresso territoriale il 15 e 16 dicembre. Nel momento in cui, nei primi giorni del mese, è arrivata la notizia della conferma dello sciopero, abbiamo riorganizzato velocemente i nostri lavori e abbiamo trasformato il congresso in una due giorni di discussione e di lotta.

Come hanno preso la notizia dello sciopero le lavoratrici e i lavoratori metalmeccanici, e qual è stata la loro risposta? Avendo fatto qualche assemblea ho potuto ascoltare con le mie orecchie chi, anche tra gli operai, contestava la scelta di scioperare contro questo governo. Perché, senza girarci intorno, anche molti dei nostri iscritti hanno creduto alle sirene della destra su temi a loro cari: le pensioni, ad esempio. La sinistra, anche quella più radicale, si è allontanata da tempo da quella che, in passato, era la sua platea di riferimenti: gli operai e tutto il mondo del lavoro. Oggi la destra, intercettando questa debolezza, ha reso la sua offerta più efficace nei confronti di quelli che rappresentiamo: ma è solo uno specchietto per le allodole e la manovra economica lo dimostra. Il loro target è un altro: sono i più ricchi, gli evasori e i furbi.

Alla fine lo sciopero è andato bene, forse meglio di quello che speravamo.

A scioperare sono stati, come al solito, soprattutto loro: le operaie e gli operai. Le percentuali di adesione sono arrivate a punte del 90% in Cimbali, alla Olan e alla Grief. Sono state tra l’80 e il 70% in Lear, alla Baruffaldi, in Mapal, in Kone Industrial e in Hyster Yale. In molte altre fabbriche c’è stata una partecipazione più che dignitosa.

Scioperano per vari motivi: perché hanno fiducia nel sindacato e nei loro delegati sindacali, perché credono che questo governo non risponderà ai loro bisogni, per un atto di ribellione nei confronti dell’azienda, perché ne hanno le scatole piene di lavorare con ritmi insostenibili. Scioperano, hanno ancora questo coraggio. E la buona notizia è che, se c’è un sindacato in azienda che si occupa di loro, lo fa anche chi è precario e ricattabile. Siamo l’unico soggetto che propone di ribellarsi a questo stato di cose con un atto che è ancora dirompente: lo sciopero.

Ora dobbiamo andare avanti. Il congresso passa alla sua seconda fase, che si concluderà a fine marzo con il congresso nazionale della Cgil. E ci sarà un secondo tempo anche nel rapporto con questo governo, che, per quello che costituisce il suo Dna, non sarà mai in grado di dare risposte positive ai bisogni delle persone che rappresentiamo. Quindi dovremo sicuramente portare avanti la mobilitazione.

Devono ricominciare ad ascoltarci. Noi ci siamo, e voi?