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Italtel, un po’ mamma un po’ no

  • 13
    2022
    Giu
    11:14 am
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Può sembrare strano definire l’azienda per la quale si lavora una mamma.

Il rapporto che ci lega dovrebbe essere di pura natura economica, un dare avere fra il fornire una prestazione lavorativa e il ricevere un, si spera congruo, stipendio.

Eppure, nel mio caso, la relazione con Italtel ha assunto nel tempo una connotazione affettiva.

E non solo nel mio.

Ricordo le prime settimane negli uffici del comprensorio di Settimo Milanese, sede che comprendeva alcuni capannoni adibiti a uffici, un palazzo di quattro piani (battezzato Quadrifoglio) riservato alla Ricerca Centrale e all’amministrazione, la mensa, il centro sportivo, il centro di formazione.

Era l’estate del 1991.

In Italtel erano ancora presenti, nello spirito delle donne e degli uomini che vi lavoravano, la vitalità, l’energia, la positività, ultimi lasciti di Marisa Bellisario, una delle poche donne manager italiane affermatasi al vertice di una multinazionale.

L’appartenenza al gruppo Iri-Stet era presupposto per una tranquillità rispetto al futuro lavorativo, a Settimo Milanese, come a Roma, nel comprensorio di Carini, provincia di Palermo, a Santa Maria Capua Vetere, l’Aquila, Terni e nelle sedi estere dell’azienda. 

In realtà nei primi anni novanta la serenità di chi, come il sottoscritto, lavorava in Ricerca e Sviluppo, aveva come contraltare il progressivo ridursi della forza lavoro operaia.

In quegli anni ho visto in prima persona gli scioperi di chi subiva la cassa integrazione o rientrava fra gli esuberi, le manifestazioni, i cortei interni di protesta: ricordo le operaie che battevano enormi coperchi, presi in prestito dalla mensa, per sollecitare la partecipazione al corteo dei “crumiri”, che fingevano indifferenza e non si schiodavano dalla scrivania.

Da ragazzo con un “DNA di sinistra”, un nonno comunista durante il ventennio del Duce, un papà fra i promotori delle lotte sindacali nella MaxMayer anni ’60, ho simpatizzato da subito con colleghi che pur non appartenendo al mio quotidiano lavorativo sentivo vicini.

Un’empatia che ha trovato terreno fertile nella frequentazione, quella sì giorno dopo giorno, con alcuni sindacalisti del mio reparto: su tutti due delegati, Tonino e Vito, diventati poi nel tempo punti di riferimento, fratelli maggiori o zii, visti i circa vent’anni che ci separavano, con i quali era normale discutere di politica, delle divisioni a sinistra, della necessità di coinvolgere i giovani che mostravano un progressivo distacco dal pensare e dall’agire comune.

Nella mia giovane timidezza, negli anni a seguire, ho trovato il “coraggio” di appendere alle bacheche aziendali l’Unità (veniva acquistata con il contributo di una cinquantina di persone ed esposta nelle aree caffè), di discutere con i colleghi, molti dei quali amici, rispetto alle questioni sia di carattere generale (quante litigate con chi, per esempio, mostrava una per me inspiegabile attrazione per la figura del Cavaliere Nero Silvio Berlusconi) sia più personali, legate al nostro vissuto negli uffici di Settimo.

Una timidezza che però m’impediva, durante le assemblee sindacali, di parlare di fronte a un “pubblico” ampio, alcune centinaia di lavoratori, anche quando avrei voluto dire la mia: non ero in grado di andare oltre il confronto con poche persone alla volta.

* * *

Con il passare degli anni Italtel ha subito una profonda trasformazione.

La privatizzazione sciagurata del 2000 (vendita a un fondo americano) ha segnato in senso negativo la stabilità finanziaria dell’azienda, con un progressivo disperdersi del patrimonio economico e soprattutto umano.

Diverse sedi sono state chiuse, il personale si è ridotto a poco più di mille dipendenti, in molti hanno lasciato la nave, chi per la sospirata pensione – come Tonino, nel 2002, tornato nella sua Liguria -, chi per scegliere altre realtà lavorative, chi purtroppo perché non più fra noi; Vito, pochi mesi dopo il pensionamento, nel 2010.

Un distacco con l’Italtel “che fu” e con le persone che ne rappresentavano l’anima che mi ha segnato, provocandomi un senso di perdita, di dolore, per il venir meno di rapporti consolidatisi nel tempo.

Nella speranza, o forse nella presunzione, di poter far qualcosa per garantire un futuro all’azienda, alle donne e agli uomini – meno giovani, ormai – che in Italtel ancora credevano e rivendicavano il diritto al posto di lavoro, ho deciso nel 2016 di darmi una sveglia e candidarmi per il rinnovo della RSU di Settimo Milanese.

La richiesta di partecipare è arrivata da un amico, delegato sindacale e ora funzionario Fiom, Roberto, cui ho risposto che sì, poteva considerarmi dei suoi, ma a una condizione: avrei dato il mio supporto nelle trattative, nel redigere i comunicati sindacali, ma non mi sarei mai esposto, maledetta timidezza, nelle assemblee.

Una condizione del tutto disattesa, per fortuna!

Dopo un primo naturale imbarazzo, il caso, la necessità e la spinta di Roberto, mi hanno “obbligato” a dare un calcio alla timidezza e a espormi davanti ai colleghi, in un contesto lavorativo, fra l’altro, a dir poco problematico.

Negli ultimi anni i dipendenti hanno subito l’applicazione reiterata di strumenti quali CIGO, CIGS, CdS – scherzando, dico che Italtel è leader mondiale nel ricorso agli ammortizzatori sociali – per scongiurare i licenziamenti e per evitare il fallimento della Società, per tre volte costretta a procedure concorsuali in Tribunale, l’ultima delle quali conclusasi a fine 2021.

Anni complicati che però mi hanno umanamente arricchito, non solo per la timidezza ora messa all’angolo, ma nel quotidiano rapporto con i colleghi, che ti contattano per esporti dubbi e richieste o, talvolta, per confessarti paure e difficoltà più “intime”: in queste occasioni il senso d’inadeguatezza di fronte a problemi personali ai quali è complicato, se non impossibile, rispondere è bilanciato dalla gratificazione d’esser visto come un punto di riferimento per chi ti ha scelto come proprio interlocutore.

Una crescita personale, grazie all’esperienza come delegato, che mi dà giorno dopo giorno la forza di proseguire, di non cedere alla frustrazione che talvolta mi accompagna quando non si raggiungono gli obiettivi che come RSU ci poniamo, nella speranza che quanto si mette in campo, in termini di lotte e rivendicazioni, serva a ritrovare l’Italtel che fu, azienda un tempo vista come mamma, tramutatasi purtroppo negli ultimi anni in matrigna.

La Scheda

Italtel è una delle più importanti Società di Telecomunicazioni italiane.

L’anno scorso ha compiuto 100 anni; è stata fondata nel luglio 1921.

Nei primi decenni di vita la Società era rappresentante italiana della casa madre, la Siemens tedesca.

Nel primo dopoguerra l’azienda entra a far parte del gruppo Iri-Stet, sempre sotto controllo Siemens, divenendo una realtà indipendente negli anni 70.

Verso la fine dei ’70 l’azienda contava circa 30 mila addetti, distribuiti su varie sedi (Milano, Settimo Milanese, Roma, Carini, l’Aquila, Terni, Santa Maria Capua Vetere) ognuna delle quali solitamente responsabile in uno specifico settore (ad esempio Terni ospitava la parte Tecnomeccanica, l’Aquila le attività relative alla difesa…).

Negli anni 80, sotto la direzione innovativa di Marisa Bellisario, Italtel realizza una delle prime centrali telefoniche elettroniche nel mondo, la Linea UT, cambia la propria natura (si assiste all’uscita di molti operai e all’assunzione di diplomati e ingegneri elettronici e informatici) e risana il bilancio aziendale.

Nel decennio successivo, dopo la scomparsa della Bellisario, la Società passa sotto il controllo diretto di Telecom e, inizio millennio, viene venduta a un fondo americano. Una privatizzazione che segna l’inizio del declino: il debito contratto per l’acquisizione di Italtel viene addossato sul bilancio aziendale.

La Società mostra tuttavia segni di vitalità (è fra le prime a sviluppare il VOIP a livello mondiale, il traffico telefonico su Rete IP), ma le difficoltà finanziarie la portano a una decrescita in termine di fatturato e addetti e al rischio di un fallimento societario scongiurato per un pelo nel 2012, nel 2017, nel 2021.

Attualmente i dipendenti sono circa 1000, nelle sedi di Milano, Roma, Carini (Palermo). La sede storica di Settimo Milanese è stata abbandonata da poco.

Nell’aprile del 2022 è nata la “nuova Italtel” che vede tre nuovi azionisti al suo comando: il Gruppo PSC, il Fondo italiano Clessidra e TIM