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4. L’azienda come una famiglia: una comunicazione tossica

  • 18
    2022
    Nov
    9:01 am
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“Le nostre persone stanno realizzando il cambiamento per le comunità, per la sostenibilità e per l’inclusione della diversità” / “This is a story about YOU making an impact”. 

Parole accattivanti scorrono a ritmo incalzante, intervallate da una rassegna di volti sorridenti appartenenti a persone di ogni età, genere e provenienza. Sembrano promettere davvero che “I cambiamenti che realizziamo oggi faranno la differenza domani”, qualsiasi cosa possa voler dire.

Sono video che, esattamente come decine di altri, vengono diffusi sui canali di note società di consulenza dove il sorriso, la motivazione e l’entusiasmo per un futuro, in grado di delinearsi soprattutto attraverso un brillante percorso aziendale, sono all’ordine del giorno.

“Wonder Mother, Future Shaper” si definisce una donna in un altro video, raccontando come il suo lavoro le abbia permesso di trasferirsi da un piccolo paese della Romania e crescere suo figlio in autonomia grazie alla flessibilità offerta dall’azienda.

https://www.ey.com/it_it/careers

Sì, perché l’equilibrio tra impegno lavorativo e vita privata, come dice il sorridente Christian, Digital Marketing Senior Manager e “papà di Oliver”, all’interno di una card postata sull’account Instagram, viene fortemente incoraggiato proprio dall’azienda.

Una comunicazione motivante a primo impatto, promossa mettendo in primo piano le facce di quei lavoratori che alla loro azienda devono molto. Come la possibilità di trascorrere più tempo con i loro figli grazie allo smart working, o la facilità a trovare un’occupazione ben retribuita appena dopo la laurea grazie a operazioni di ricerca talenti, o ancora la spinta a letteralmente “cambiare il futuro”, “fare la differenza”.

“[nome azienda] secondo me mi migliora in diversi aspetti”, racconta una ragazza in un video. “Se devo definire questi anni in azienda li definirei con il termine ‘crescita’”, sostiene un’altra. Perché, se lo vuoi davvero, se ti impegni per perseguire i tuoi obiettivi, otterrai tutto ciò che vuoi. 

Eppure basta guardare con un po’ di attenzione per rendersi conto che qualcosa, in tutto questo, stride. 

“Il fenomeno che emerge da queste strategie di comunicazione fondate sulle testimonianze di impiegati felici e determinati a cambiare il mondo si chiama employee engagement (in italiano “coinvolgimento dei dipendenti”), e risale agli anni ’90 quando le aziende iniziarono a chiedersi come mantenere il lavoratore legato all’azienda. Il primo a teorizzarlo fu William Kahn”. 

A spiegarci questo fenomeno è Francesca Coin, sociologa del lavoro all’Università di Lancaster nel Regno Unito.

Kahn offrì la prima definizione di questo concetto come “l’imbrigliamento dei membri dell’organizzazione nei loro ruoli lavorativi. Nell’impegno, le persone impiegano ed esprimono se stesse fisicamente, cognitivamente ed emotivamente durante le performance di ruolo”.

Di esempi ormai se ne vedono dappertutto. Ogni azienda ha bisogno di diffondere i propri valori attraverso i lavoratori stessi, che diventano lo sponsor del loro luogo di lavoro. L’azienda diventa così una famiglia, un luogo in cui sentirsi liberi, accolti, una vera e propria sorgente di gratificazione. 

L’esempio più calzante (e inquietante) lo ricordiamo tutti: nel 2017 viene diffuso sui social, impropriamente, un video aziendale di Banca Intesa, filiale di Castiglione delle Stiviere. Nel video, in un tentativo di team building la direttrice presenta tutto il suo team con queste parole: “Adesso vi presento la mia squadra, anzi, la nostra famiglia, anzi la nostra grande famiglia!”. Poi, al suono di un gridato “Io ci sto!”, sprigiona tutto l’amore per Banca Intesa che solo un fedelissimo impiegato può esprimere. 

Energia, creatività, entusiasmo, opportunità sono le sensazioni trasmesse da queste comunicazioni dove gli obiettivi dell’azienda diventano gli stessi del lavoratore nel nome di un legame che, facendosi sempre più stretto, crea identificazione e finisce con confondere ruoli e priorità.

1. Francesca Coin – Una grande famiglia

Così, l’interesse del datore di lavoro e quello del dipendente, che per definizione sarebbero divergenti, si fondono insieme creando un corto circuito.

Tutto gira intorno a progetti di team building quasi obbligatori, frasi recitate a memoria e sorrisi convincenti, perché “azienda felice” diventa sinonimo di “dipendenti felici” e il brand, il logo, diventa un marchio di soddisfazione, gratificazione e appartenenza ricoprendo con la sua ombra il dissenso o il disaccordo, vissuti invece come un tradimento.

Non a caso, all’interno di queste realtà la consapevolezza sindacale è pressoché inesistente.

2. Francesca Coin – Dove sono i miei diritti?

La letteratura è piena di riferimenti. Sempre più media infatti affrontano il tema del lavoro, sotto vari punti di vista. Coin cita il cartaceo Harvard Business Review che nel 2015 ha titolato “It’s time to blow up the Human Resources” (“Bisogna far saltare in aria le risorse umane”, ndr). 

https://peoplexpert.ch/website/wp-content/uploads/3991_0011.pdf

E non solo lavoro. La comunicazione aziendale aggressiva entra quotidianamente e in modo capillare all’interno delle Università. 

Spesso infatti le società di consulenza sponsorizzano o promuovono corsi di laurea per poi assumere direttamente i giovani laureati (o laureandi).  E così i luoghi che nascono come culla di spirito critico diventano un luogo di conservazione. (4-continua)

3. Francesca Coin – Università: da bacini di conflitto a luoghi di conservazione

Sara Del Dot, Marta Facchini, Mattia Guastafierro.

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