Europe for Peace. Un messaggio contro la guerra dalla Piazza del 5 novembre

Andrea Rosafalco
Come quando con la mano si cerca il cuore sul petto, per coglierne il battito, per trovarne il segnale, così la manifestazione “Europe for Peace” ha rappresentato all’Italia e all’Europa la vitalità del movimento civile italiano contro la guerra.
La manifestazione ha colorato le strade di Roma lo scorso 5 novembre ed è culminata in Piazza S.Giovanni, affollata di così tante persone che riusciva impossibile abbracciarle tutte con lo sguardo (… eravamo centomila!).

Il movimento contro la guerra esiste. E non può essere distorto e ridotto, con facile cattiveria, a una presa di posizione favorevole alla logica di potenza della Federazione Russa. La piazza di S. Giovanni ha respinto e condannato l’aggressione assurda di Putin nei confronti dell’Ucraina.

Questa aggressione ha spezzato i progetti di vita di singoli e comunità; ha sottratto la pace a chi – povero e fragile – aveva nella pace l’unica forza per combattere le proprie battaglie.
In altri termini, Europe for Peace ha testimoniato l’irriducibilità del grido per la pace a quella narrazione falsante, secondo cui la richiesta sofferta di un cessate il fuoco, e di un tavolo negoziale per l’Ucraina, coinciderebbe con il disbrigo, con la “svendita” dei valori di libertà e democrazia di cui l’Occidente si proclama campione.


Il messaggio della piazza è stato del tutto diverso. La pace e la vita sono stati indicati a valori superiori. E di conseguenza, è stato riconosciuto che l’affermazione dei bisogni di sicurezza e convivenza non può reggersi sulla pratica opposta: quella delle armi, quella della prosecuzione del conflitto.
Europe for Peace, allora, ha interrogato proprio chi oggi invoca il diritto all’esistenza dell’Ucraina e il valore della sua resistenza, per sostenere il prosieguo degli scontri e l’invio di nuove armi.
I manifestanti hanno chiarito che, se l’albero è figlio del proprio seme, anche la pace dovrà poter nascere dal dialogo con chi è “altro da noi”.
Questi messaggi e questi argomenti sono stati scanditi dal palco del 5 novembre verso un piazza affollata e unita pur nella propria pluralità. L’allegria e la dignità della giornata, del resto, ha potuto contare sull’affluenza impetuosa di molte e diverse organizzazioni collettive, fra le quali la CGIL e le sue federazioni hanno fatto quasi da “gigante gentile”.

Il sindacato ha mobilitato le proprie iscritte e i propri iscritti con parole d’ordine chiare: di solidarietà, e di riconoscimento della consonanza delle lotte del lavoro con ogni lotta volta a sostenere, oltre i confini degli Stati, gli sforzi degli offesi, di coloro che hanno bisogno di darsi forza l’un l’altro ed esprimersi nel collettivo per ritrovare libertà.
La FIOM c’è stata, e dentro di lei la FIOM di Milano, la quale ha contribuito a tenere alto un certo tratto dell’identità milanese.
Questo tratto d’identità (… e chissà se i lettori concordano!) sta probabilmente nelle seguenti cose: non accettare a priori le verità imposte; sentire poi la spinta a mettersi in ricerca, a utilizzare l’intelligenza di ciascuno per progettare e realizzare soluzioni concrete, in grado però di sostenere una pratica dei rapporti sociali generativa, e di salvaguardia e promozione del bene comune.
