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È ora, un giornale a chi lavora

  • 13
    2022
    Giu
    11:24 am
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Di giornali ce ne sono tanti, forse troppi. Curioso, dato che se ne vendono sempre di meno. E le notizie che riguardano il lavoro, o meglio, le persone che lavorano, sono marginali. I quotidiani più venduti non la nominano neanche più la parola “lavoro”, figuriamoci se parlano poi di “lavoratori”. Sono considerati, ormai, termini “vintage”, da “comunisti”. Eppure la Repubblica Italiana, recita la Costituzione, è ancora fondata sul lavoro. Ma vogliamo mettere a paragone questi termini vecchi e desueti con l’immarcescibile parola “economia”? La parola “lavoro” evoca ancora la fatica, lo sporco. Per non parlare della parola “lavoratori” o “lavoratrici”. Sembra addirittura di sentirne l’odore, di quelle persone. È meglio parlare di “economia”, termine più asettico e al tempo del Covid non è poco. L’unico odore che si sente, pensando a questa parola, è quello dei soldi. Vuoi mettere?

Pertanto, se proprio si deve parlare di gente che lavora se ne parla nei quotidiani e nelle riviste che vanno per la maggiore, nelle pagine economiche. Certo, il primo obiettivo è dar voce a chi, l’economia, la fa girare: i manager d’impresa. A sentir loro il futuro del lavoro è sempre luminoso: meno faticoso, più sicuro, più stimolante. E già oggi siamo nel futuro, in molti casi. Non si capisce perché almeno tre persone ogni giorno si ostinino a morire nonostante il crescere di attività lavorative così all’avanguardia. Incomprensibile.

Quindi non so proprio cosa ci sia passato per la testa, come FIOM di Milano, quando abbiamo deciso di lavorare alla redazione di un giornale online che provasse a raccontare la vita, le gioie, i dolori, i sogni e i desideri delle persone che lavorano “sul campo”. Sì, non i manager. Loro fanno la teoria, che spesso è sbagliata, ma gli altri, i “subordinati”, quelli che lavorano “nella pratica”. Quei disgraziati che ogni tanto vediamo intervistati anche dai mass media ufficiali, ma solo quando hanno storie drammatiche da raccontare, così da avere almeno una funzione: commuovere. Che è diventato il principale obiettivo dei mezzi di comunicazione: prenderti allo stomaco, sollecitarti emotivamente. Il far riflettere con pacatezza non è più un fine. Vi siete domandati come mai? 

Insomma, ci è venuta questa idea. Abbiamo pensato che potesse essere ancora utile parlare di persone di cui ci si interessa così poco. Sempre più invisibili, soprattutto se precari, donne o migranti.  Che noia, ti credo che poi le persone cambiano canale o pagina di giornale.

Ma sì, allora parliamone noi, ci accontenteremo di un’audience qualificata. Raccontiamolo noi questo lavoro 4.0,  automatizzato, digitale, intelligente artificialmente, il lavoro delle meraviglie di cui si riempiono la bocca tanti capitani d’industria. Diamo voce a chi, quel lavoro, lo porta avanti tutti i giorni: facendo i turni in fabbrica, lavorando in ufficio o da casa, magari sul tavolo della cucina oppure partendo la mattina con il mezzo aziendale per passare da un appuntamento all’altro per le attività di installazione o manutenzione. E narriamo le storie di chi, in questo contesto, prova a fare sindacato: le vertenze, le rivendicazioni, le lotte, le sconfitte e le vittorie. 

Intendiamoci: la nostra non è un’idea nuova, non siamo megalomani. Risale addirittura al 1898 l’idea di fondare “Il Metallurgico”, giornale operaio che poi diventò l’organo di stampa della FIOM. Allora si moltiplicarono le pubblicazioni che nascevano spontaneamente anche nei luoghi di lavoro. “Giornali di fabbrica”, li chiamavano: strumenti di informazione, formazione e propaganda. Questo strumento ha dato voce, soprattutto dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, al mondo del lavoro: si scriveva delle vertenze e delle rivendicazioni che animavano le fabbriche e ha rappresentato un documento essenziale per capire sentimenti, esigenze e aspettative dei lavoratori.

“Il Metallurgico” ha cessato le sue pubblicazioni più di dieci anni fa. Troppo costoso e oneroso, non era più possibile portarlo avanti in un momento di grande difficoltà per l’industria metalmeccanica, a seguito della crisi economica e finanziaria del 2008. Nel nostro giornale racconteremo anche questa storia, raccoglieremo testimonianze del presente e del passato. Proveremo a farlo sapendo che tutto è cambiato, perché con il processo di deindustrializzazione, di frammentazione del mondo del lavoro, le lavoratrici e i lavoratori hanno perso forza e non riescono più ad imporsi sulla scena pubblica e politica come un tempo. 

Anche per questo, pensiamo sia fondamentale tornare a dar loro voce, protagonismo. Perché il dovere di un sindacato è riunificare, mettere insieme, rendere visibile. Far riflettere. Non possiamo arrenderci al pensiero unico. 

L’obiettivo di un giornale di questo tipo sarà quello di rendere più partecipi e più consapevoli le persone che lavorano e che credono ancora nella possibilità di un cambiamento positivo anche attraverso l’agire sindacale. 

Il nostro giornale non sarà più cartaceo, ovviamente. Ora è l’epoca del web, quindi sarà in una versione online, più gestibile ed economicamente sostenibile. 

La redazione sarà composta di delegati sindacali, lavoratrici e lavoratori che, volontariamente, prestano una parte del loro tempo per fare attività sindacale. Ce ne sono ancora tanti e nessuno ne parla. Ne faranno parte anche giovani giornalisti che hanno voglia di prestare la loro attività qualificata per un’iniziativa di questo tipo, per approfondire quanto accade, veramente, sui posti di lavoro.

Sarà un luogo aperto, libero, creativo. Per la comunicazione istituzionale ci sarà poco spazio, per quella ci sono i nostri social media, la facciamo già. Quello che ci serve, oggi, è riprendere a fare informazione anche in maniera alternativa. La “nostra” informazione, quella vera.  

Quindi alla domanda che pongo nel titolo iniziale non posso che dare la seguente risposta: sì, ha senso realizzare un giornale in cui si parli delle persone che lavorano. 

A voi spetterà il compito di leggerci e di valutare quello che proveremo a fare. Seguiteci!