
Lorenzo Pasini
La crisi energetica sembra un problema dei nostri giorni, attuale, ma l’approvvigionamento di energia elettrica e di riscaldamento sono sempre stati temi, per l’appunto, caldi.
Ma solo ora ci troviamo ad aver timore del freddo e solo questo ottobre così mite, per non dire estivo, ci sta salvando da forti preoccupazioni, rimandando il brutto pensiero ai mesi invernali. L’amara prospettiva è aggravata dalla certezza di dover sborsare cifre molto più onerose rispetto al recente passato per le bollette di luce e gas, anche se l’impressione è che tutto questo sia ingiusto: approfondiamo.
Già, perché è sempre il lato economico e non ecologico a preoccuparci di più, e se è vero che a tutti piacerebbe usare un’energia più pulita e inquinare meno, è ancor più vero che vorremmo risparmiare più denaro possibile. Ma è proprio questo prefisso greco “eco”, che va sempre a pari passo con le due parole, a trarci in inganno. “Eco” significa casa e da qui dovremmo ripartire, perché la nostra casa è anche il mondo in cui viviamo e come ci preoccupiamo dei problemi dentro le nostre quattro mura dovremmo farlo anche con l’ambiente che ci circonda, rispettandolo, tenendolo pulito e senza distruggerlo, senza esaurirne le risorse, ma a quale costo?
Risorse che credevamo inesauribili, sempre a disposizione, non troppo costose e poco importa se costretti ad importarle da chissà dove, ci chiedevamo disinteressati fino a poco tempo fa, ignorando la risposta. Materie prime che tutto ad un tratto ci raccontano arrivare da un’unica zona geografica, quella dove da ormai troppi mesi una guerra insensata, come tutte le guerre, sembra non voler cessare.
La prima materia a risentirne, come sempre, è stata il petrolio, con la quotazione nelle borse mondiali in salita verticale, forse un valore del tutto fittizio che però ribalta i mercati di tutto il mondo. Ma come, ci siamo chiesti in tanti, il petrolio dalla Russia? E da quando l’oro nero arriva da là? Non era tutto in Kuwait, Iraq, Arabia? Dalla Russia arriva il gas per riscaldarci, lo sapevamo, un po’ di caviale e qualche matriosca.
E se poco tempo dopo anche le bollette del gas sono schizzate alle stelle, in molti con già molti dubbi, increduli ed esterrefatti non si davano pace trovando anche quelle dell’energia elettrica salatissime e non trovandone il nesso, ma ahimè in questo caso sbagliando perché, forse inconsciamente, avevano sempre immaginato che se elettrodomestici, treni o fabbriche non emettono fumo significa che oltre a non inquinare sicuramente usano fonti energetiche sostenibili e inesauribili per funzionare, come il solare, l’eolico o il geotermico.

Ma non è così e consultando grafici e statistiche si scopre che a livello mondiale la produzione è ancora, in grande maggioranza (più del 60%), ottenuta da centrali termoelettriche che sfruttano il calore generato da fonti combustibili come petrolio, gas e carbone (38%), convinti che quest’ultimo fosse in disuso da almeno un secolo. Ci sono poi le idroelettriche (16%), nucleari (12%) e ancora in piccola parte da solare, eolico, geotermico (9%).

I dati a livello europeo non si discostano di molto, e in Italia con le rinnovabili si arriva al 36% del totale che quindi è in linea in quanto è l’idroelettrico ad avere la fetta maggiore essendo il 40% del totale di questa tipologia green, com’è consuetudine definirla, seguita da solare al 22%, dall’eolico al 18% e il restante 20% da biomasse e geotermico. Questi dati ci servono per capire che però l’Italia dipende ancora in stragrande maggioranza da altri paesi, senza dimenticare che un altro 11% lo dobbiamo importare dall’estero senza sapere effettivamente se viene prodotto da gas, acqua o più ragionevolmente da fonti nucleari che abbiamo bandito e rinnegato nel nostro bel paese esattamente 35 anni fa. Esaminando le percentuali che riguardano il petrolio, ci accorgiamo che l’Europa ne importa dalla Russia in media il 25%, ma Italia e Francia solo il 12, Germania e Olanda il 26 e alcuni paesi come Lituania, Finlandia, Slovacchia e Polonia più del 70%, Repubblica Ceca e Ungheria circa il 50%, mentre la Spagna meno del 10.

A questo punto ragionando solo a livello nazionale ci si chiede perché solo un decimo di petrolio importato incida così tanto sul prezzo finale, allineandosi ad altri paesi in maggioranza del centro ed est Europa, come si evince in modo chiaro dalla mappa qui sopra. Notiamo inoltre che anche per quanto riguarda il gas non siamo i più grandi importatori europei attestandoci ad un 40%, mentre alcuni paesi dipendono totalmente dai sovietici.
Ci si chiede se tutto ciò non sia una manovra politica e che il nostro Stato si debba accodare, come in molte altre occasioni, alle decisioni comunitarie penalizzandoci oltremodo. Sì perché se è vero che non abbiamo materie prime, o che non le possiamo o non le vogliamo usare, vedi trivelle in adriatico o nucleare, allora purtroppo ci dobbiamo chiedere se è giusto attenerci alle decisioni e imposizioni politico-economiche globali e se davvero è la guerra tra Russia e Ucraina ad averci portato a questa situazione critica o se ci saremmo arrivati comunque.
La globalizzazione mondiale, il demandare produzioni industriali di qualsiasi tipo in regioni lontane, estrazioni di minerali esclusivamente in zone geografiche extracee, lavorazioni nocive e pericolose alle popolazioni più povere e con un costo del lavoro molto inferiore, ci ha portato ad una delocalizzazione di buona parte di quei problemi ecologici ed economici, eccetto poi criticare quei due o tre paesi al mondo responsabili del riscaldamento climatico.

Eppure i governi avrebbero avuto il modo per organizzarsi, per fare in modo davvero di creare una certa indipendenza, aumentando seriamene la produzione di energia con fonti alternative ma negli ultimi sette anni è aumentata relativamente poco con incrementi non sufficienti e le scelte politiche ancora una volta si sono rilevate inadeguate. Negli anni 90 le centrali a carbone e petrolio furono convertite a gas semplicemente perché considerato un combustibile meno soggetto a variazione di prezzi, più stabile, mentre ora ci siamo ritrovati all’esatto contrario.
Tornando all’attualità e al lato economico la vera sensazione però è quella della speculazione selvaggia, del pretesto e del capro espiatorio, del cavalcare un’onda di convenienza di chi ha subito un danno, di chi si sente danneggiato dalla pandemia appena trascorsa e che lo ha bloccato nelle proprie attività commerciali andando a colpire su tutti i fronti il cittadino lavoratore ed onesto il quale riceve lo stesso stipendio, pre-pandemia o post-guerra, ma che si ritrova con spese fisse sempre più alte, costretto al risparmio e a fare la “formica”.
I prezzi di qualsiasi prodotto subiscono rialzi, perché i costi fissi di gestione aumentano e vengono gonfiati in quanto calcolati in percentuali su percentuali a loro volta rialzate, ma è la povera “formichina” a risentirne in quanto cliente finale.
I grandi potenti, come imponenti elefanti decidono l’andamento dei prezzi, dettano le leggi dei mercati e delle guerre, ci spiegano che il prezzo del gas è dovuto all’embargo, che non ci sono scorte, che non siamo autosufficienti; ci mostrano che il prezzo della bolletta della luce è calcolata sula media prevista dell’aumento di una parte delle fonti energetiche ma poi incide su tutto il conteggio anche se quasi la metà sono fonti rinnovabili. Il governo cerca di fare qualcosa, con bonus che sembrano paghette e con limitazioni e criteri non sempre equi, ma potrebbe fare molto di più.
Ci ritroviamo così a farci domande sull’etica, cosa è giusto e cosa sbagliato, cosa possiamo fare nel nostro piccolo, magari abbassando o spegnendo il riscaldamento o comprando auto che ci vendono come poco inquinanti e più efficienti per poter aiutare tutti e forse anche il pianeta. Ma poi ci voltiamo e vediamo i grandi elefanti continuare sulla propria via illudendo e ignorando le piccole formiche che in realtà poco possono di fronte ai problemi globali, ingannandole, usando per primi il carbone.
Basterebbe un Annibale del nuovo millennio a guidare gli elefanti, per primi, verso un futuro migliore?